Vent’anni fa, il 2 aprile 2005, San Giovanni Paolo II lasciò un’eredità indelebile: un invito a una rinnovata comunione con la verità e una sfida alla secolarizzazione della cultura. Oggi, a distanza di due decenni, la domanda provocatoria di don Luigi Giussani – “È l’umanità che ha abbandonato la Chiesa o la Chiesa che ha abbandonato l’umanità?” – risuona con una forza sorprendente, invitandoci a un’analisi profonda e necessaria del cattolicesimo contemporaneo.
Un’eredità di audacia e di speranza
San Giovanni Paolo II ha incarnato la visione di una Chiesa che, pur rimanendo fedele alle sue radici spirituali, si apre al dialogo con il mondo moderno. La sua audacia non era solo una sfida personale, ma un appello all’intera comunità cristiana a testimoniare la luce di Cristo in un’epoca di relativismo e smarrimento. Oggi, nel riflettere sul ventennale della sua morte, ci troviamo a chiederci se quella visione sia stata realizzata o se, al contrario, il percorso intrapreso abbia prodotto distacco e disillusione.
La dicotomia tra umanità e istituzione
La domanda di don Giussani si configura come un monito che scava al cuore del dilemma esistenziale e istituzionale della Chiesa:
- Umanità in cerca di verità:
Nel contesto attuale, l’individualismo e la frammentazione dei valori hanno portato molti a perdere fiducia in istituzioni che un tempo rappresentavano una guida sicura. L’umanità, in questo senso, si è fatta strada in una società in cui la ricerca di un senso trascendente è spesso sostituita da bisogni immediati e relativistici. - Chiesa in difficile dialogo con il mondo:
Dall’altra parte, la Chiesa, nel tentativo di aggiornarsi e di rispondere alle nuove sfide, ha talvolta ceduto a compromessi che hanno indebolito il suo ruolo spirituale e formativo. La “vergogna di Cristo” – come sottolineato da don Giussani – si traduce in una titubanza a proclamare con forza l’essenza del Vangelo, rischiando di perdere il contatto con una società in cerca di riferimenti autentici.
Il cattolicesimo di oggi: una chiesa in bilico

Il cattolicesimo contemporaneo si trova oggi in una posizione ambivalente. Da un lato, esistono movimenti e comunità che continuano a rinnovarsi, incarnando un’esperienza di fede profonda e autentica; dall’altro, la crisi dei valori, scandita da scandali e da una crescente sfiducia, evidenzia un vuoto esistenziale che pare incolmabile.
Il richiamo di San Giovanni Paolo II alla dignità umana e all’impegno per la giustizia sociale è oggi più urgente che mai, ma resta la sfida di riconciliare la tradizione con le esigenze del presente, affinché il messaggio cristiano non diventi un retaggio sterile, bensì una fonte viva di rinnovamento.
La domanda di don Giussani: una chiamata al ritorno all’essenza
La domanda di don Giussani ci invita a un esame di coscienza profondo:
- Riscoprire l’identità cristiana: La Chiesa deve ritrovare il coraggio di “dire chi è Cristo”, senza timore di apparire controcorrente rispetto a una cultura in rapido mutamento. Solo attraverso un impegno autentico e senza compromessi si potrà ristabilire un dialogo sincero con l’umanità.
- Riconnettere con l’umanità: D’altra parte, l’umanità è chiamata a riscoprire quella dimensione spirituale che va oltre il mero pragmatismo quotidiano. La fede, intesa come esperienza esistenziale e relazionale, deve riacquistare il suo posto centrale nella ricerca del significato della vita.
Conclusioni: verso un nuovo patto di fiducia
Vent’anni dopo la morte di San Giovanni Paolo II, la sfida lanciata a tutta la Chiesa e all’umanità rimane più attuale e drammatica che mai. Il cattolicesimo di oggi si trova di fronte a un bivio: continuare sulla strada dei compromessi e dell’indifferenza, oppure riscoprire il coraggio della fede autentica e del dialogo profondo con la realtà.
La risposta alla domanda di don Giussani non è semplice e univoca; è una chiamata alla responsabilità condivisa, un invito a costruire insieme un futuro in cui la Chiesa possa ritrovare la sua identità e l’umanità il suo senso più profondo di appartenenza e verità.
In questo senso, il ventennale dalla morte del papa polacco non è solo un momento di ricordo, ma un’occasione per rinnovare il patto di fiducia tra la Chiesa e la società, affinché il messaggio di amore e speranza portato da Cristo possa illuminare le vie di un mondo in cerca di senso e di redenzione.