Ci sono momenti nella storia che lasciano cicatrici indelebili. Il 27 marzo 2020, nel cuore della pandemia, Jorge Mario Bergoglio appariva su una Piazza San Pietro vuota. La pioggia cadeva incessante, creando un’atmosfera surreale. In quel silenzio, per me, si consumava il momento più basso del cattolicesimo moderno.
Non era tanto la solitudine del vegliardo vestito di bianco a colpirmi, ma l’assenza di un annuncio trionfante: mancava la certezza della resurrezione. Le parole non dette pesavano più di qualsiasi eco.

Una scena da fine della cristianità
L’immagine era inquietante: Jorge Mario Bergoglio, il vegliardo vestito di bianco, isolato sotto un cielo plumbeo, davanti al crocifisso di San Marcello. In quel contesto, tutto sembrava testimoniare l’impotenza dell’uomo di fronte al dramma globale. Ma ciò che mancava era la voce che avrebbe dovuto proclamare con fermezza: Cristo è risorto, la morte è stata sconfitta!
Al contrario, da quella piazza non si levò alcun grido di vittoria, ma soltanto il lamento di una fragilità umana che si faceva eco di una paura paralizzante.
Cristo o il nulla
Perché quel momento è rimasto impresso come il punto più basso? Perché, togliendo alla Chiesa la certezza della resurrezione, ciò che resta è un vuoto esistenziale. Senza la vittoria sulla morte, il cristianesimo si trasforma in un grido d’angoscia, privo della forza che dovrebbe scuotere il cuore del mondo.
Quella sera ho percepito il trionfo del nichilismo, un’immagine di una Chiesa rassegnata, che sembrava piegarsi al pessimismo anziché esaltare la vita e la speranza che solo la resurrezione può infondere.
Cinque anni dopo: abbiamo imparato qualcosa?
A distanza di cinque anni, la domanda persiste: abbiamo veramente imparato qualcosa? È giunto il momento di chiederci se siamo capaci di riscoprire che, senza la resurrezione, il cristianesimo perde la sua ragion d’essere. O se continuiamo a relegare la fede a un mero conforto temporaneo, senza abbracciare il suo potere trasformante.
Io non posso accettare una fede che si arrende alla disperazione, proprio come non posso arrendermi alle mie sfide personali. Il cristianesimo è troppo grande per essere ridotto a un semplice sollievo momentaneo. O Cristo è vivo, oppure siamo destinati a perderci nell’oscurità.