Hanno trovato il modo di uccidere con il sigillo della legge. La Regione Toscana ha approvato la prima normativa italiana che regola il suicidio assistito. Lo chiama “diritto”, ma è solo l’ennesima resa di uno Stato che ha smesso di prendersi cura dei suoi cittadini, lasciandoli soli davanti al dolore e alla disperazione.

Dal “diritto alla vita” al “diritto alla morte”
La cultura moderna, nella sua folle corsa all’autodeterminazione assoluta, ha sostituito il concetto di comunità con l’individualismo radicale. Prima ha trasformato il “diritto alla vita” in “diritto di scegliere sulla vita”, aprendo la strada all’aborto come conquista di libertà. Ora, coerentemente, lo stesso principio si applica alla morte: non più un evento naturale o un passaggio da accompagnare con dignità, ma una questione di volontà personale, che lo Stato si limita a certificare.
Ma chi decide davvero? Il malato o una società che gli fa sentire il peso insopportabile della sua esistenza? Se la vita è solo funzionalità ed efficienza, allora chi non è più produttivo è un peso da eliminare. E così, nel nome della libertà, si consegna ai più deboli un modulo da firmare per sparire.
La menzogna del “morire con dignità”
Ci dicono che questa legge garantisce il “diritto a morire con dignità”. Ma quale dignità può esserci in un sistema che, invece di offrire sostegno, cure e amore, offre la morte come soluzione? La vera dignità non sta nell’eliminare il dolore uccidendo chi lo prova, ma nell’affrontarlo insieme, nella certezza che nessuno è abbandonato.
Dietro questa legge c’è il trionfo di una visione cinica della vita. La stessa che spinge a eliminare i disabili prima della nascita, a rifiutare gli anziani come un peso, a considerare il malato terminale un problema di cui liberarsi. Eppure, ogni vita, anche nella sofferenza, conserva un valore infinito. Lo sa chi ha assistito un amico morente, chi ha stretto una mano fino all’ultimo respiro, chi ha vissuto l’esperienza di un amore più forte del dolore.
Una società senza Dio, senza speranza
La radice di questa deriva è chiara: una società senza Dio non sa più cosa farsene della sofferenza e della morte. La morte diventa solo una questione tecnica da gestire in modo “civile” e “razionale”. Ma senza Dio, tutto si riduce a questo: un modulo burocratico, un farmaco letale, un certificato di decesso.
Monsignor Giussani ci ha insegnato che il cristianesimo non è una morale, ma un avvenimento che cambia la vita. E il punto non è stabilire cosa sia giusto o sbagliato a tavolino, ma riscoprire che l’uomo non è un’isola. Siamo fatti per la relazione, per l’appartenenza, per la compagnia. Se una persona arriva a chiedere di morire, è perché è stata lasciata sola. La risposta non è accompagnarla alla morte, ma accompagnarla nella vita.
L’illusione della democrazia, la verità della comunità
Il suicidio assistito è il frutto amaro di una democrazia che ha perso ogni radice morale. Si illude di essere neutrale, ma in realtà è solo il braccio armato di una cultura nichilista. E qui sta il grande inganno: far credere che si tratti di una conquista, quando in realtà è solo la sconfitta definitiva di un popolo che non sa più prendersi cura dei suoi membri più deboli.
Oggi più che mai serve un’alternativa. Non uno Stato-mamma che decide cosa sia giusto per tutti, né un’anarchia dell’individuo che si autodetermina nel nulla. Serve una comunità vera, fatta di uomini e donne che si prendono a cuore il destino dell’altro. Serve un modello di società come quello sognato da Adriano Olivetti: una comunità in cui nessuno sia lasciato solo, in cui la tecnologia e il progresso servano a migliorare la vita, non a decretarne la fine.
Il suicidio assistito non è progresso, è resa
Si uccidono gli uomini quando si è rinunciato a prendersi cura di loro. La Toscana si vanta di essere la prima regione a garantire il diritto alla morte. Ma non c’è nulla di cui vantarsi. Non c’è nessun coraggio nel lasciare che i più deboli spariscano. Il coraggio è accogliere, sostenere, lottare. Il coraggio è costruire comunità dove la vita, tutta la vita, sia degna di essere vissuta.